Le principali notizie e informazioni di natura economica, finanziaria, giuridica e politica relative alla Federazione Russa.

venerdì 29 gennaio 2010

La ripresa dell’economia russa è legata al prezzo dell’oro nero

Tra i paesi che compongono il G20, ovvero le maggiori economie mondiali, la Russia è stato uno di quelli che hanno maggiormente risentito della crisi economica mondiale e, nella prima metà dello scorso anno, ha subito la perdita di un decimo del PIL. Il crollo economico e finanziario totale è stato evitato solo grazie al forte rialzo dei prezzi petroliferi avvenuto nel 2009 e ad un uso massiccio dei “fondi di riserva”, frutto dei proventi energetici: il prezzo del petrolio è passato da poco più di 30$ al barile, agli 80$ registrati negli ultimi tempi e questo fattore ha consentito al paese di restare a galla e di sperare in una ripresa futura; per quanto riguarda i fondi di riserva, secondo Alerei Kudrin, ministro delle Finanze, uno dei due fondi si esaurirà completamente nel 2010, per far fronte al deficit di bilancio.
Nonostante il drammatico calo della produzione industriale, dei consumi e del commercio estero, secondo le previsioni della maggioranza degli analisti moscoviti l’economia russa dovrebbe riprendere la via della crescita nel 2010, sebbene non si tratterà sicuramente di un processo veloce. Tuttavia, alcuni esperti sostengono che alla base delle previsioni ottimistiche del Cremino vi sia la convinzione che il prezzo del petrolio rimarrà stabile - questo garantirebbe alla Russia un afflusso di capitali, la ripresa dell’erogazione dei prestiti al settore reale, l’aumento dei redditi, l’accelerazione della domanda e, quindi, la crescita dell’intero sistema economico – ma se, al contrario, il prezzo del petrolio dovesse scendere, la Russia rischia di trovarsi di fronte ad un altro anno di stagnazione.La dipendenza dell’economia russa dal commercio petrolifero, che la rende strettamente legata alle oscillazioni del prezzo del greggio sui mercati globali, determina una forte vulnerabilità del Paese. La crisi finora ha solamente aggravato questa situazione, aumentando la dipendenza del paese dalle esportazioni di petrolio, di gas e di altre materie prime. La domanda di tali risorse è calata enormemente da parte dei consumatori europei, colpendo duramente i produttori russi: per la prima volta negli ultimi nove anni la Russia ha ceduto agli Stati Uniti il primato del maggior esportatore mondiale di metano.

martedì 26 gennaio 2010

Eni: in corso le trattative per la gestione dei gasdotti nel rispetto delle norme Antitrust

Il 19 marzo l'Antitrust europeo aveva aperto una procedura nei confronti di Eni per presunta violazione della concorrenza nella gestione dei gasdotti TAG, TENP e Transitgas. Sono tuttora in corso le trattative tra il gruppo di Paolo Scaroni, amministratore delegato Eni, e la Commissione europea, circa la questione del controllo dei gasdotti dal Nord Europa e dalla Russia, per permettere al gruppo italiano di evitare la multa minacciata da Bruxelles, che auspicava la rinuncia all'attuale influenza su TENP, Transitgas e TAG da parte di Eni.
L'allentamento della presa sui gasdotti interessati avverrà con il coinvolgimento di entità pubbliche: sarebbero in corso discussioni riguardanti la vendita o la cessione, in tutto o in parte, ad entità pubbliche, inclusa la Cdp - Cassa depositi e prestiti.
I progetti in esame sono due: un’ipotesi si basa sulla possibile cessione da parte di Eni della proprietà di TENP e Transitgas, due gasdotti che portano gas dall'Olanda in Italia, attraverso la Germania e la Svizzera. L'azienda pubblica poi cederebbe alla Cassa depositi e prestiti i diritti di trasporto relativi al TAG, il gasdotto proveniente dalla Russia.
Secondo una delle fonti a conoscenza del dossier invece, Eni starebbe valutando anche un'operazione più complessa che coinvolgerebbe l'intera Snam rete gas, controllata al 52,54% dal gruppo del cane a sei zampe: in un primo momento, Eni venderebbe a Snam rete gas tutti i gasdotti che portano gas in Italia da Nord - ovvero TENP, Transitgas e TAG – e, una volta portato a termine tale passaggio, ridurrebbe la propria quota in Snam vendendo a Tesoro e Cdp il 27% di Srg: a Scaroni resterebbe così il 25,5% circa di Snam.
Per ora Eni ha preferito non rilasciare alcun commento al riguardo.

venerdì 22 gennaio 2010

Ucraina: nonostante la “cattiva gestione” della crisi cresce la produzione industriale

Il mercato ucraino, secondo solo alla Russia nell’area post-sovietica, ha risentito profondamente della crisi dello scorso anno: nella fase più critica della stessa, ha subito uno dei più gravosi cali e la maggior svalutazione della moneta nazionale che lo hanno portato ad una contrazione pari al 30% del PIL.
Il governo ucraino ha fronteggiato la crisi adottando le misure scaturite dagli accordi con FMI, Banca Mondiale e altre istituzioni finanziarie internazionali che hanno: mitigato il rifinaziamento del debito estero a breve termine, portato il taglio del deficit di bilancio al 4% del PIL nel 2010 e intensificato la disciplina fiscale. Tuttavia, secondo gli esperti, l’aumento dei crediti si sarebbe arrestato troppo bruscamente, il governo ucraino non avrebbe predisposto una strategia coordinata comune per superare la crisi e non avrebbe destinato fondi a sufficienza per il sostegno dell’economia domestica. L’utilizzo dei fondi erogati dal gabinetto per sostenere la liquidità non sarebbe stato controllato in modo opportuno. Gli esperti affermano che i fondi spesi nell’acquisto di valuta straniera siano serviti solamente per mantenere a galla, ma non a recuperare, il mercato dei crediti domestici e questo fattore avrebbe contribuito all’aggravarsi della pressione valutaria sulla hryvnia. Per quanto riguarda la politica monetaria, gli esperti sostengono che la Banca Nazionale dovrebbe evitare la monetizzazione del deficit del bilancio nazionale, aumentare la trasparenza della politica di rifinanziamento della banca e controllare severamente l’utilizzo dei fondi destinati alle banche.
A dispetto di tutto ciò, nel dicembre 2009, la produzione industriale del Paese è cresciuta del 7,4% rispetto al periodo analogo del 2008. Il secondo mese consecutivo di crescita - a novembre si era registrato un aumento dell’8,6% - conferma la graduale uscita dell'economia ucraina dalla crisi.

venerdì 15 gennaio 2010

Mosca chiede i diritti doganali sul petrolio che la Bielorussia vende in Europa

Il brusco abbassamento della temperatura atmosferica ha causato un notevole aumento nella domanda di petrolio e, come è spesso accaduto negli ultimi anni, in questo periodo l’Europa si ritrova preoccuparsi per le scorte di energia e il loro transito verso l’Europa. Quest’anno, lo scontro tra paesi fornitori e paesi di transito, riguarda il petrolio e vede in prima linea Mosca e Minsk: la Russia intende passare ai prezzi di mercato anche con la Bielorussia e ha chiesto i diritti doganali sul petrolio che quest’ultima importa per raffinarlo e rivenderlo in Europa, esentando dalle imposte solo il petrolio destinato al consumo interno.
In Bielorussia il petrolio viene esportato attraverso le condutture dell’oleodotto Druzhba (letteralmente “amicizia”) che si apre in due rami: si dirige verso Polonia e Germania a nord, scende verso Ucraina e Slovacchia a sud, e si divide ancora verso Ungheria, Repubblica ceca e Croazia. Attraverso Druzhba passa circa la metà del petrolio che la Russia esporta nel continente europeo. Il Premier bielorusso Alexander Lukashenko ha posto le basi del proprio regime proprio grazie alle rendite derivate dalle esportazioni di petrolio, un settore chiave per l’intera economia di Minsk che, se la Russia dovesse prevalere nella disputa, quest’anno guadagnerebbe un miliardo di dollari in meno rispetto al 2009, andando ad incrementare la contrazione del proprio PIL. Com’era prevedibile i negoziati per il raggiungimento di un’intesa nelle contrattazioni petrolifere sono falliti, mettendo a rischio il transito di greggio verso l’Europa.

venerdì 8 gennaio 2010

Russia, Bielorussia e Kazakistan: è nata la tariffa doganale unica

Il primo gennaio 2010 è ufficialmente nata l'unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Si tratta di una tappa importante nel lungo processo di riavvicinamento dei tre Stati del CSI, che punta all’abbattimento progressivo delle barriere al commercio.
Si dovranno attendere altri sei mesi per l'implementazione di tutti gli strumenti tecnici integrati; il 1 luglio 2010 sarà adottato il Codice doganale unico dei tre paesi, fondamentale in vista della creazione di uno spazio economico unificato nel 2012. Già oggi si registra una corrispondenza prossima al 95% nella nomenclatura doganale tra la Russia e la Bielorussia, mentre, nei confronti del Kazakistan, dovrà essere svolto un lavoro di omologazione decisamente più imponente.
Secondo gli esperti, l'introduzione della tariffa doganale unica avrà un effetto di contenimento nei limiti dell'1% sul livello medio delle aliquote doganali applicabili. Inoltre, la creazione dell'Unione doganale, potrebbe condurre a uno sviluppo nell'ordine del 15% del PIL entro il 2015.
Nel medio periodo è possibile l'adesione all'Unione anche degli altri membri Eurases: il Kirghizistan e il Tagikistan. Se la scorsa estate Vladimir Putin, stanco delle estenuanti trattative, non avesse improvvisamente sospeso i negoziati con l’Organizzazione mondiale del commercio, la nascita della tariffa doganale avrebbe potuto segnare l’inizio del cammino di Mosca nella Wto. Ora la strada verso la stessa si fa più tortuosa: sebbene la Russia abbia considerato la possibilità di entrare nella Wto nell'ambito dell'unione doganale, accanto a bielorussi e kazaki, tale ipotesi appare difficilmente realizzabile, in quanto l'articolo 12 dell'Accordo di Marrakesh, che regola l'esistenza della Wto, stabilisce che ne può diventare membro un singolo paese o un territorio doganale come Hong Kong o Macao, autonomi sul proprio spazio doganale. Ma l'unione con Kazakhstan e Bielorussia ha autorità solo sulle merci e non prevede il controllo totale sugli scambi. Inoltre, Russia e Kazakistan hanno completato ormai il 95% dei requisiti posti durante i negoziati, ma la Bielorussia non ha nemmeno cominciato ad adeguare la propria legislazione interna.