Nel corso degli ultimi due secoli e fino al 2006, la produzione di vino e acqua in Georgia è stata legata alla Russia, che per il vino georgiano e per l’acqua minerale Borjomi ha rappresentato il mercato più importante.
I produttori di vino georgiani, approfittando della scarsa selettività di molti consumatori russi, avevano cominciato a destinare i loro prodotti migliori ad altri mercati; per questa ragione - sebbene il pretesto ufficiale riguardasse “carenze igienico-sanitarie" - e in seguito ad un forte inasprimento delle relazioni tra i due Paesi, nel 2006 Mosca annunciò un embargo all'importazione di acqua e vino georgiani.
L’azienda produttrice di acqua minerale Borjomi non ha risentito molto dell’embargo quindi e non è stata costretta a ridurre i posti di lavoro; i problemi maggiori sono quelli riscontrati per il settore vinicolo: l'embargo sul vino ha drasticamente ridotto la domanda di uva, colpendo soprattutto agricoltori e contadini. Oggi le aziende vinicole sono parzialmente riuscite a far fronte all'embargo: i produttori, messi alle strette dalla concorrenza globale, hanno innalzato la qualità del vino, evitando i miscugli di dubbia origine praticati in epoca sovietica. Questo non è, tuttavia, sufficiente per far fronte alle conseguenze dell'embargo: prima del 2006 la Georgia esportava 20 milioni di bottiglie, di cui il 60% era destinato alla Russia, mentre oggi l'esportazione di vino georgiano arriva a 10 milioni di bottiglie annue, delle quali il 40% è destinato all'Ucraina e il restante a Bielorussia, Kazakistan e Paesi baltici. Nonostante questo, ora che Mosca avrebbe eliminato gli ostacoli giuridici alla ripresa delle importazioni, il governo georgiano non sembra interessato alla proposta e non è disposto alle concessioni politiche richieste da Mosca.
Dato l'indebolimento dei rapporti fra i Paesi in seguito al crollo dell'Unione sovietica e la conseguente diminuzione della dipendenza economica dalla Russia, l’impatto dell’embargo sull’economia georgiana è stato limitato, tuttavia non è questo il motivo di fondo della passività georgiana: nell’apertura di Mosca, Tbilisi intravede una mossa strategica mirata a rafforzare l'opposizione filo-russa agli occhi dell'opinione pubblica meno interessata alla politica, come i produttori d'uva che avrebbero grandi benefici in caso di fine dell'embargo e il governo georgiano teme che possa crescere anche il prestigio dell'opposizione. Inoltre, ad essere contrari alla fine dell’embargo sono gli stessi imprenditori, per i quali il ritorno sul mercato russo comporterebbe ingenti spese di logistica e marketing, senza alcuna garanzia sulla stabilità delle intenzioni moscovite.
Nessun commento:
Posta un commento